Cari Nihonjini, in questi giorni, per qualche
motivo non meglio identificato, il mio amore per le foreste giapponesi si è
ridestato più forte che mai. Bè, ad essere sincera, il motivo c’è eccome e non
posso che imputare la responsabilità all’enorme quantità di film d’animazione e
le miriadi di foto di magnifiche foreste giapponesi sparse per il web in cui, ultimamente,
mi è capitato di imbattermi. Natura selvatica dai toni surreali, avvolta in una
tenue foschia che rende lo scenario quasi mistico, un luogo che non è percepito
come luogo, ma più come un’entità dal cuore pulsante, legata ad una quantità
inimmaginabile di miti e leggende, di mostri e divinità, di magia e realtà.
Eppure, non tutto è oro quello che luccica, perché nell’immaginario collettivo
giapponese la foresta non è percepita solamente come un universo intriso di
misticismo, ma anche un mondo contraddittorio, come lo è poi la natura stessa
della cultura e dell’identità giapponesi. Alla foresta sono legati sì simboli
di vita, ma anche simboli di morte, e nessun posto come Aokigahara potrebbe
essere più esemplificativo in tal proposito.
Nihonjini, avete mai sentito parlare di Aokigahara? Forse a
tanti di voi questo nome non dice nulla, proprio come non lo diceva a me prima che
m’imbattessi nel libro Kuroi Jukai (“Nero
mare di alberi”), scritto da Seichō
Matsumoto.
Quando facevo
ricerca a Tōkyō, parte dei miei studi era dedicata alle ragioni per le quali
tanti giovani commettono suicidio in Giappone. È stato navigando tra i diversi
siti dedicati all’argomento che mi è capitato per caso di trovarlo, ed il “Mare
di Alberi” non era altro che uno degli pseudonimi – se così potremmo definirlo
– per identificare proprio la misteriosa foresta di Aokigahara. Misteriosa ed
anche molto più che inquietante, roba che a confronto la Strega di Blair è una
roba per poppanti. Ma siccome, citando un mio amico giappico, sono una kowai onna (“donna spaventosa”), non
potevo che appassionarmene a tal punto che andare ad Aokigahara è diventato uno
dei sogni proibiti della mia vita.
Cosa rende
Aokigahara un posto tanto interessante? Oh, bè, dipende senz’altro dai gusti e
dal fegato, ma di certo, come avrete già intuito, la sua particolarità non
deriva tanto dalla presenza di fastosi templi, mastodontiche statue del Buddha o
mirabolanti attrazioni estreme, bensì dalle spaventose e tristi storie di cui
la foresta è palcoscenico da molti, moltissimi anni. Perché Aokigahara è uno
dei posti prediletti dai giapponesi per togliersi la vita.
Prediletti,
esatto, non avete capito male.
No, non sto certamente
cercando di fare humor nero su una
questione tanto delicata come quella del suicidio, ma non basterebbe un libro
per poter spiegare le ragioni per le quali in Giappone la morte possa arrivare
a fare persino “tendenza”. A tal punto che esistono siti internet in cui ci si
iscrive apposta per decidere assieme ad altri aspiranti suicidi il luogo,
l’orario ed il modo in cui avverrà la propria fine (shinjū, o “patti suicidi”).
Sì, mi rendo
conto non sia proprio l’argomento più felice di cui parlare e che questo
aspetto della società giapponese sia difficile da comprendere, eppure, per
quanto l’idea possa suscitare orrore e ribrezzo, anche il suicidio fa parte di tutti
quegli elementi che rendono il Giappone il paese che è. Mi piace molto definire
il Giappone un amante sì passionale, ma con mille scheletri nell’armadio, in
grado di regalare sempre intense emozioni, per quanto macabre alcune di esse possano
essere. Ed Aokigahara è di certo annoverabile tra i suoi misteri più raccapriccianti.
La foresta cresce
alle pendici nord-ovest del Monte Fuji, a circa due ore di treno da Tōkyō, ed è
stata soprannominata proprio “Mare di Alberi” perché così fitta che alcuni dei
cadaveri di coloro che l’hanno scelta quale luogo della propria fine si dice siano
stati ritrovati solo dopo anni di ricerche. In effetti, la foresta è
costantemente battuta da squadre investigative della polizia, che controllano
periodicamente il posto per cercare – e non per assicurarsi non ci siano,
purtroppo – nuovi corpi, perché per quanto possa essere triste, sono moltissimi
i giapponesi che ogni anno decidono di suicidarsi ad Aokigahara. Basti pensare
che al suo ingresso è situato il cartello nell’immagine di seguito.
“La vita è un dono prezioso dei tuoi
genitori. Con calma, ripensa a loro, ai tuoi fratelli, ai tuoi figli. Non
affliggerti in solitudine, ma confidati, prima di tutto.”
Ma forse, più creepy della foresta in sé e di quello
che accade al suo interno è il significativo numero di turisti che, in ogni
periodo dell’anno, si avventura tra i suoi disordinati sentieri per andare a
caccia di ossa o rimasugli di cadaveri.
Bè, a dire il
vero, la sua fama non dipende solo da questo. Nonostante il suo infelice background, infatti, Aokigahara nasconde
meraviglie da mozzare il fiato, come grotte e caverne anticamente formatesi
grazie a passaggi di lava ed eruzioni vulcaniche, ad esempio, o la
straordinaria biodiversità del suo ambiente, che ospita varie specie di piante particolari,
come il rarissimo monotropastrum humile.
Non è così
strano, quindi, che si conti un elevato numero di visitatori, ma certo è che lo
spirito avventuriero della maggior parte del turismo della foresta dipenda
soprattutto da motivazioni che trascendono la semplice avventurosa scarpinata in
mezzo alla natura selvaggia e riguardano molto di più la sfera esoterica. Sono
tante le dicerie che vedono Aokigahara come protagonista e moltissimi i
giapponesi che affermano di aver incontrato yūrei (“fantasmi”, meglio “spiriti inquieti”) o vissuto
esperienze paranormali nelle sue vicinanze. Avevo letto, una volta, di un
giovane sulla via del ritorno che, assieme ad un amico, aveva adocchiato una strana
donna addentrarsi nella foresta a notte fonda. Forse non si trattava davvero di
uno spirito, forse si trattava solo di suggestione, ma questo non aiuta
certamente a rendere l’atmosfera di quel posto meno sinistra.
Un’altra leggenda
vuole, poi, che chiunque si avventuri ad Aokigahara sia destinato a non far più
ritorno. In effetti, per gli aspiranti sucidi è ciò che succede davvero, ma la
diceria deriva pure forse dal reale il pericolo di smarrirsi tra gli alberi in
cui gli avventurieri potrebbero incappare spostandosi dai percorsi
prestabiliti. Sono molti quelli che si perdono nella foresta, quindi, Nihonjini, se vi trovate a fare un giro
per Aokigahara, non scordate di contrassegnare il vostro percorso con pezzi di
nastro adesivo od altri oggetti.
Mh? Dite che non
ci andreste mai e che è spaventoso io abbia voglia di andare a visitare un posto
del genere? Bè, forse non avete tutti i torti, eppure il desiderio di
conoscenza, il bisogno di documentarsi, è spesso più forte persino della paura
e dell’etica. Credo che per trovare risposte al mio quesito sul cos’è che
spinge così tante persone a compiere un gesto tanto estremo come quello di
togliersi la vita, ci sia bisogno di vedere coi propri occhi la porta tra la
vita e la morte, e di toccarla con mano, di viverla sulla propria pelle. La
fine è certo spaventosa, è un tabù in molte credenze, ma fa comunque parte del
ciclo naturale della vita, per quanto il distacco da una persona amata possa
essere devastante. Posti come Aokigahara ci ricordano di quanto siamo minuscoli
di fronte all’eternità e di come sia importante, talvolta, riflettere sul senso
della propria esistenza.