giovedì 13 ottobre 2016

La foresta di Aokigahara: quel funesto “Mare di alberi” a metà tra la vita e la morte.

Cari Nihonjini, in questi giorni, per qualche motivo non meglio identificato, il mio amore per le foreste giapponesi si è ridestato più forte che mai. Bè, ad essere sincera, il motivo c’è eccome e non posso che imputare la responsabilità all’enorme quantità di film d’animazione e le miriadi di foto di magnifiche foreste giapponesi sparse per il web in cui, ultimamente, mi è capitato di imbattermi. Natura selvatica dai toni surreali, avvolta in una tenue foschia che rende lo scenario quasi mistico, un luogo che non è percepito come luogo, ma più come un’entità dal cuore pulsante, legata ad una quantità inimmaginabile di miti e leggende, di mostri e divinità, di magia e realtà. Eppure, non tutto è oro quello che luccica, perché nell’immaginario collettivo giapponese la foresta non è percepita solamente come un universo intriso di misticismo, ma anche un mondo contraddittorio, come lo è poi la natura stessa della cultura e dell’identità giapponesi. Alla foresta sono legati sì simboli di vita, ma anche simboli di morte, e nessun posto come Aokigahara potrebbe essere più esemplificativo in tal proposito.
Nihonjini, avete mai sentito parlare di Aokigahara? Forse a tanti di voi questo nome non dice nulla, proprio come non lo diceva a me prima che m’imbattessi nel libro Kuroi Jukai (“Nero mare di alberi”), scritto da Seichō Matsumoto.
Quando facevo ricerca a Tōkyō, parte dei miei studi era dedicata alle ragioni per le quali tanti giovani commettono suicidio in Giappone. È stato navigando tra i diversi siti dedicati all’argomento che mi è capitato per caso di trovarlo, ed il “Mare di Alberi” non era altro che uno degli pseudonimi – se così potremmo definirlo – per identificare proprio la misteriosa foresta di Aokigahara. Misteriosa ed anche molto più che inquietante, roba che a confronto la Strega di Blair è una roba per poppanti. Ma siccome, citando un mio amico giappico, sono una kowai onna (“donna spaventosa”), non potevo che appassionarmene a tal punto che andare ad Aokigahara è diventato uno dei sogni proibiti della mia vita.




Cosa rende Aokigahara un posto tanto interessante? Oh, bè, dipende senz’altro dai gusti e dal fegato, ma di certo, come avrete già intuito, la sua particolarità non deriva tanto dalla presenza di fastosi templi, mastodontiche statue del Buddha o mirabolanti attrazioni estreme, bensì dalle spaventose e tristi storie di cui la foresta è palcoscenico da molti, moltissimi anni. Perché Aokigahara è uno dei posti prediletti dai giapponesi per togliersi la vita.
Prediletti, esatto, non avete capito male.
No, non sto certamente cercando di fare humor nero su una questione tanto delicata come quella del suicidio, ma non basterebbe un libro per poter spiegare le ragioni per le quali in Giappone la morte possa arrivare a fare persino “tendenza”. A tal punto che esistono siti internet in cui ci si iscrive apposta per decidere assieme ad altri aspiranti suicidi il luogo, l’orario ed il modo in cui avverrà la propria fine (shinjū, o “patti suicidi”).
Sì, mi rendo conto non sia proprio l’argomento più felice di cui parlare e che questo aspetto della società giapponese sia difficile da comprendere, eppure, per quanto l’idea possa suscitare orrore e ribrezzo, anche il suicidio fa parte di tutti quegli elementi che rendono il Giappone il paese che è. Mi piace molto definire il Giappone un amante sì passionale, ma con mille scheletri nell’armadio, in grado di regalare sempre intense emozioni, per quanto macabre alcune di esse possano essere. Ed Aokigahara è di certo annoverabile tra i suoi misteri più raccapriccianti.
La foresta cresce alle pendici nord-ovest del Monte Fuji, a circa due ore di treno da Tōkyō, ed è stata soprannominata proprio “Mare di Alberi” perché così fitta che alcuni dei cadaveri di coloro che l’hanno scelta quale luogo della propria fine si dice siano stati ritrovati solo dopo anni di ricerche. In effetti, la foresta è costantemente battuta da squadre investigative della polizia, che controllano periodicamente il posto per cercare – e non per assicurarsi non ci siano, purtroppo – nuovi corpi, perché per quanto possa essere triste, sono moltissimi i giapponesi che ogni anno decidono di suicidarsi ad Aokigahara. Basti pensare che al suo ingresso è situato il cartello nell’immagine di seguito.



La vita è un dono prezioso dei tuoi genitori. Con calma, ripensa a loro, ai tuoi fratelli, ai tuoi figli. Non affliggerti in solitudine, ma confidati, prima di tutto.”

Ma forse, più creepy della foresta in sé e di quello che accade al suo interno è il significativo numero di turisti che, in ogni periodo dell’anno, si avventura tra i suoi disordinati sentieri per andare a caccia di ossa o rimasugli di cadaveri.
Bè, a dire il vero, la sua fama non dipende solo da questo. Nonostante il suo infelice background, infatti, Aokigahara nasconde meraviglie da mozzare il fiato, come grotte e caverne anticamente formatesi grazie a passaggi di lava ed eruzioni vulcaniche, ad esempio, o la straordinaria biodiversità del suo ambiente, che ospita varie specie di piante particolari, come il rarissimo monotropastrum humile.




Non è così strano, quindi, che si conti un elevato numero di visitatori, ma certo è che lo spirito avventuriero della maggior parte del turismo della foresta dipenda soprattutto da motivazioni che trascendono la semplice avventurosa scarpinata in mezzo alla natura selvaggia e riguardano molto di più la sfera esoterica. Sono tante le dicerie che vedono Aokigahara come protagonista e moltissimi i giapponesi che affermano di aver incontrato yūrei (“fantasmi”, meglio “spiriti inquieti”) o vissuto esperienze paranormali nelle sue vicinanze. Avevo letto, una volta, di un giovane sulla via del ritorno che, assieme ad un amico, aveva adocchiato una strana donna addentrarsi nella foresta a notte fonda. Forse non si trattava davvero di uno spirito, forse si trattava solo di suggestione, ma questo non aiuta certamente a rendere l’atmosfera di quel posto meno sinistra.
Un’altra leggenda vuole, poi, che chiunque si avventuri ad Aokigahara sia destinato a non far più ritorno. In effetti, per gli aspiranti sucidi è ciò che succede davvero, ma la diceria deriva pure forse dal reale il pericolo di smarrirsi tra gli alberi in cui gli avventurieri potrebbero incappare spostandosi dai percorsi prestabiliti. Sono molti quelli che si perdono nella foresta, quindi, Nihonjini, se vi trovate a fare un giro per Aokigahara, non scordate di contrassegnare il vostro percorso con pezzi di nastro adesivo od altri oggetti.
Mh? Dite che non ci andreste mai e che è spaventoso io abbia voglia di andare a visitare un posto del genere? Bè, forse non avete tutti i torti, eppure il desiderio di conoscenza, il bisogno di documentarsi, è spesso più forte persino della paura e dell’etica. Credo che per trovare risposte al mio quesito sul cos’è che spinge così tante persone a compiere un gesto tanto estremo come quello di togliersi la vita, ci sia bisogno di vedere coi propri occhi la porta tra la vita e la morte, e di toccarla con mano, di viverla sulla propria pelle. La fine è certo spaventosa, è un tabù in molte credenze, ma fa comunque parte del ciclo naturale della vita, per quanto il distacco da una persona amata possa essere devastante. Posti come Aokigahara ci ricordano di quanto siamo minuscoli di fronte all’eternità e di come sia importante, talvolta, riflettere sul senso della propria esistenza.


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