Cari
Nihonjini, quanti di voi, poveri studenti squattrinati o
lavoratori precari, partiti coraggiosamente alla volta della Nipponia
con la brama di imparare il giapponese in una delle città più
costose del pianeta, non hanno dovuto affrontare la terribile
problematica di trovare un alloggio nei pressi della propria scuola,
che fosse un po' più ampio di 12 miseri metri quadrati, avesse
almeno una finestra, fosse fornito di tutte le comodità possibili ed
immaginabili (come bagno e cabina doccia, ad esempio), ma che non
fosse più caro di cinquantamila yen, un rene, l'anima ed ambo
i polmoni?
Nel
corso delle mie avventure nipponiche, questo infelice passaggio ho
dovuto sperimentarlo sulla mia pelle ben più di qualche volta e,
credetemi, quando per mantenervi gli studi tutto quel che riuscite ad
ottenere è un lavoro come cameriera per pochi spiccioli all'ora e
qualche ripetizione di italiano, le alternative che restano a
dispostizione si riducono a:
1)
catapecchie scarafaggiose ad un'ora e mezza di treno dalla vostra
destinazione;
2)
guest house infestate da topi di varie specie e dimensioni;
3)
dormitori con camerate da quindici persone l'una, dove se ti giri
nell'angusto spazio corri il rischio di far cadere gli altri ospiti
come tessere del domino;
4)
i ponti;
5)
piangersi disperatamente addosso e pregare in ginocchio i tuoi di
offrire un contributo per la tua felicità.
Dal
mio canto, piuttosto che ripiegare su una delle soluzioni
sopracitate, di cui (tranne che per il punto 4, fortunamente) avevo
tra l'altro fatto precedentemente esperienza, ho pensato fosse meglio
addizionare ai miei già due stressanti lavori un terzo, grazie al
quale mi riusciva sì di racimolare dindini a sufficienza, ma non mi
restava praticamente più neppure il tempo per esistere. Rassegnata
all'idea che ben presto sotto un ponte ci sarei finita davvero,
l'unica cosa che mi rimaneva da fare era maledire il cielo e sfogare
la mia frustrazione durante la pausa pranzo con le mie colleghe
universitarie. Fu allora che una di loro, un'ingegnera nucleare
tedesca per la precisione, mi propose di prenderci un appartamento
assieme.
“Un
appartamento?” mi chiesi, perplessa. “Questa vuole andare a
vivere in un ca...mpidoglio di appartamento??” proprio non riuscivo
a capacitarmene, e mi chiedevo quale parte di 'non ho neanche gli
occhi per piangere' fosse per l'ingegnera tedesca tanto difficile da
capire. Ma quando mi ha poi convinta a seguirla in sala computer per
mostarmi la lista delle case a
cui aveva pensato valesse la pena dare un'occhiata, mi sono
letteralmente schizzati gli occhi fuori dalle orbite. Perché? Bé,
perché un appartamento a Shibuya, che per chi non lo sapesse è uno
dei quartieri più in di Tōkyō,
per soli ventimila miseri yen non lo avevo mai immaginato
neppure nei miei più reconditi e proibiti sogni. Anzi, al dire il
vero, neppure credevo potessero esistere!
Sconcertata
da cotanta economicità, ho cominciato a scrollare il resto della
lista con la foga di una folle indemoniata, cercando di capire
quale fosse il nesso tra “Shibuya” e “appartamenti di 60 mq da
ventimila yen”, perché c'era chiaramente qualcosa che
continuava a sfuggirmi. Diamine, il trucco doveva pur esserci da
qualche parte, ma per quanto insistessi con l'ingegnera tedesca
affinché mi svelasse le oscure motivazioni dietro a quella
sottospecie di candid camera, lei continuava a sorridermi
amabilmente, rassicurandomi del fatto che l'inghippo non ci fosse per
davvero.
Ebbene,
Nihonjini, quando un'ingegnera nucleare tedesca vuole cercare
di convincervi che è normale trovare appartamenti a Shibuya per
affitti così bassi non credetele, perché sta sicuramente mentendo!
Di certo, o vi sta propinando una scusa per convincervi a
seguirla in qualche meandro oscuro della città, con lo scopo di
vendervi alla yakuza, oppure, per citare il Grande Lebovsky,
fa parte del circolo di quei 'nichilisti che non credono in niente',
senza macchia e senza paura! Nel mio caso, la risposta apparteneva
alla seconda categoria, perché uno spaventoso inghippo c'era eccome,
e l'ho scoperto solo quando, discutendone a tavola con la famiglia
giapponese presso cui ero ospite in quel periodo, il mio Ōtosan
(padre) mi chiese con titubanza “non è che si tratta di un jiko
bukken?”.
Se
anche voi leggendo questo termine avete storpiato la faccia,
chiedendovi “e adesso che cavolo è un jiko bukken?” come
feci io allora nel sentirlo, resterete ancora più stupiti quando vi
dirò in che razza di metafisico casino sono stata sul punto di
cacciarmi. I jiko bukken sono, infatti, quegli alloggi presso
cui chi decide di andare a viverci, dovrà prepararsi all'eventualità
di condividere lo spazio con un terzo incomodo a sorpresa, che non è
purtroppo un gattino puccioso od il solito gigantesco ratto di turno.
Il terzo incomodo potrebbe, invece, somigliare molto più a Sadako
Yamamura di The Ring.
Il
fatto è che vengono chiamati jiko bukken tutti quegli
appartamenti i cui ex-proprietari non solo hanno lasciato
l'abitazione, ma hanno pure lasciato questo mondo, e per cause ben
poco naturali. È una credenza giapponese piuttosto diffusa, difatti,
quella secondo la quale le anime rancorose dei morti per cause
violente od autoprovocate possano restare ad infestare, sotto forma
di yūrei
(fantasmi), il luogo in cui è avvenuto il loro trapasso. In realtà,
la categoria di jiko bukken è molto più vasta di così: non
comprende solo questo tipo di abitazioni incindetate, ma anche altri
tipi di proprietà considerate a stretto contatto col mondo degli
spiriti, quali quelle costruite sui pozzi (e, come in uno dei
prossimi articoli spiegherò, solo i kami sanno quanto terrore
i giapponesi abbiano dei pozzi!) o quelle costruite nei pressi dei
cimiteri. Superstiziosi, i giapponesi? Ma no, che dite. Di più.
Molto di più. Ma potreste mai dargli torto?
Per
quanto ad alcune persone, come all'ingegnera tedesca nichilista,
l'idea di un incontro ravvicinato con uno spettro inquieto possa far
sorridere, ad altri, come la sottoscritta e la stragrande maggioranza
dei giapponesi, fa letteralmente venire il latte alle ginocchia!
Chiunque abbia avuto modo di intervistare al riguardo, infatti, mi ha
confidato che l'idea di andare a vivere in un jiko bukken
infestato non gli ha mai sfiorato neppure l'anticamera del cervello!
Ed, in effetti, ce l'avreste voi il coraggio di vivere con la
consapevolezza di potervi ritrovare il precedente propietario
dell'appartamento a fissarvi di fianco al letto, mentre dormite?
Vorrei ben dire, a questo punto, che le agenzie immobiliari mettano
in vendita questo genere di funeste dimore a prezzi ridicolmente al
di sotto della media, in località dove, normalmente, potrebbe
viverci solamente gente come Ono Daisuke o Kamiya Hiroshi!
Se
è, però, palese per un nipponico identificare questo tipo di
fregatura, per ovvie motivazioni culturali, per una povera straniera
come me non è così tanto facile, men che meno se poco si conosce
del vastissimo universo dell'immaginario collettivo giapponese.
Quindi, Nihonjini, attenti se state cercando casa in Giappone,
siete disperati, avete pochi soldi e l'agente immobiliare vi propone
di acquistarne una ad un prezzo irrisorio in una zona centralissima,
perché molto probabilmente starà cercando di rifilarvi una di
quelle soluzioni invendute chissà da quanti eoni, per le quali un
giapponese medio non opterebbe neppure se il prezzo da pagare fosse
un bagno in una vasca di olio bollente. Attenzione anche perché, se
non siete voi a chiederlo esplicitamente, mica ve lo dicono gli
agenti di loro spontanea volontà il motivo per il quale vogliono
assolutamente regalarvi quella casa. Se l'acquirente prima di voi ci
ha soggiornato per meno di un mese e quello prima ancora s'è
impiccato, non vale la pena di dirlo al nuovo potenziale compratore,
no?
Oyasumi.
Oyasumi.
Questo è in assoluto il miglior articolo sinora... però manca un pezzo a mio parere fondamentale: dov'è adesso l'ingegnera nucleare tedesca?
RispondiEliminaAw, ti ringrazio tantissimo!
EliminaEeeh, l'ingegnera non lo so che fine ha fatto, al momento ç_ç Dovrebbe essere ancora in Giappone, ma l'idea del jiko bukken l'ha piantata quando le ho dato buca...
Ho pensato ci fosse andata con un'altra e si fosse persa ogni traccia. Però forse e dico FORSE io alla fine avrei accettato. Magari poi facevo amicizia con lo spettro *_*
EliminaIn realtà all'inizio ero tentatissima, perché amo molto le storie di fantasmi e il paranormale, però poi alla fine ho desistito. Meglio evitare le occasioni!
EliminaMa no! Carpe diem! XD
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