Cari
Nihonjini, nella puntata precedente vi ho parlato di quanto
sia facile perdere uno shūden
quando
si è stanchissimi e disattentissimi, e di quale potrebbe essere una
delle soluzioni più semplici (seppur tra le più costose) da
adottare, onde evitare di finire a vagabondare tra le strade di Tōkyō
in piena notte, in attesa che le corse dei treni riprendano al
mattino successivo. Come vi avevo accennato, ne esistono anche di
gran lunga
più economiche del taxi, ed ho avuto modo di sperimentarlo a mie
spese – figurate e, ahimè, letterali – già il giorno successivo
a quello del precedente inconveniente.
La
seconda volta che persi lo shūden
era
una fredda notte in cui credevo che, prese le giuste precauzioni,
esperienze come quella da poco vissuta sarebbero state dure a
verificarsi nuovamente. Una notte in cui avevo avuto la brillante
idea di dimenticare la sciarpa al lavoro, tra l'altro, ma avevo
almeno avuto la decenza di declinare l'invito del mio capo a scolarci
una bottiglia di amaretto assieme, per affogare i dispiaceri
nell'alcol.
Completamente
sobria, una volta tanto, e felice di aver imparato la lezione, pensai
di fare un salto in un negozietto sulla strada, poco distante dalla
stazione, per premiarmi con un bell'onigiri
tonno e maionese, in barba alla linea e a tutte quelle persone che
adesso staranno pensando “oddio, come si fa a mangiare una roba del
genere a mezzanotte passata?”, ai quali risponderò con fierezza
che si campa una volta.
Peccato
che quella notte sia stato proprio il mio piccolo peccato di gola ad
avermi condotta ad un nuovo sventurato epilogo. Non ho mai
particolarmente avuto a cuore la narrativa dantesca, ma devo
ammettere che sembrava quasi il creato mi avesse condannato ad una
qualche punizione divina per la mia golosità e negligenza, sebbene
sia, per fortuna, riuscita almeno ad evitarmi la flagellazione delle
intemperie: convintissima di essere perfettamente in orario, infatti,
quando invece il treno buono me l'ero persa per il tempo perso a
scegliere tra gli onigiri
dai
mille gusti, mi sono resa conto solo arrivata ad Akihabara che lo
shūden
era passato pochi minuti prima.
Mannaggia
a Pippo,
ho pensato, e
adesso come dovrei pagarmelo il taxi per tornare a casa?
Rassegnata
e consapevole di avere ben poc'altra scelta, ho deciso a quel punto
di fare l'unica cosa sensata che mi venisse in mente: imboccare la
prima strada a caso fuori la stazione e cominciare a seguire le
indicazioni sui cartelli stradali che dicevano “Ichikawa”. Certo,
sarebbe stata una strada lunga – aiutatemi a dire lunga – da
percorrere, ma dopotutto non è che avessi chissà cos'altro
d'importante da fare fino alle cinque e mezza del mattino. Dovevo
solo essere certa che la strada imboccata portasse effettivamente ad
Ichikawa o mi sarei definitivamente spersa, e t'oh!,
guarda che fortuna!
c'era un uomo di mezza età camminare qualche metro davanti a me. È
stato quello il momento in cui ho realizzato che anche i giapponesi,
talvolta, possono venire in mente le mie stesse trovate geniali.
Anche quel signore, infatti, aveva perso lo shūden
ed aveva deciso di tornare a piedi alla sua dimora.
“Dove
devi andare, tu?”, mi disse.
“Ad
Ichikawa. E Lei?”
“Ad
Asakusa. Potremmo fare un pezzo di strada assieme. Ti lascio ad un
netto kafe dalle
parti di Kinshichō.”
Cosa?
Dite che è da irresponsabili accettare un invito del genere da uno
sconosciuto in piena notte? Bè, forse non avete tutti i torti, ma
posso assicurarvi che il Giappone non a caso è considerato uno dei
paesi meno pericolosi al mondo. Sia per il gran numero di stazioni di
polizia sparse un po' ovunque sul territorio edochiano, sia per le
regolari ronde effettuate dagli agenti che ci lavorano, sia per i
tantissimi ventiquattr'ore (i cosiddetti konbini)
locati tipo ogni cento metri, sia per la civiltà del suo pacifico
popolo, è praticamente impossibile riuscire a trovarsi davvero in
pericolo. Mal che vada, c'è sempre un negozio in cui rifugiarsi o
qualcuno che sentirebbe le vostre urla se doveste avere la sfortuna
di rientrare in quella piccola - statisticamente parlando –
percentuale di persone assassinate o aggredite, soprattutto se avete
l'accortezza di restare sulle strade principali.
E,
inltr-... Cosa? Non avete idea di che cavolo sia un netto
kafe?
Ah, tranquilli, non ce l'avevo neanch'io fino a quando non ho avuto
modo di vederne uno coi miei stessi occhi. Vi dico solo che, a
sentirne il nome, ero certa si trattasse di qualche internet
point
ad orario continuo, ma la mia idea non poteva essere più lontana
dalla realtà.
Dopo
tre buone ore trascorse a conversare piacevolmente
col mio scortatore asakusese, che mi mostrò i migliori spot
notturni sui ponti della periferia di Tōkyō, e mi aiutò, tra le
altre cose, a farmi una cultura sulla storia del sumō,
portandomi pure a vedere l'esterno del Ryōgoku
Kokugikan
(lo stadio utilizzato per il tradizionale evento sportivo e che si
trova appunto a Ryōgoku,
per chi avesse voglia di farci una capatina), giungemmo di fronte ad
un comunissimo edificio, che mi diede l'impressione i miei dubbi
sulla natura del posto fossero fondati. Solo quando ci entrai, capii
invece che da quel momento in poi avrei amato un po' di più il
magico mondo della vita notturna tokyota! Scoprii, infatti, che un
netto
kafe
(meno volgarmente detto manga
kissa)
non solo è un internet
point,
ma è anche quello che definisco come “paradiso
dell'intrattenimento per sfigati che hanno perso il treno, pendolari
squattrinati e viaggiatori parsimoniosi, che non hanno voglia di
spendere migliaia di yen per usufruire di una camera d'hotel di due
metri quadri, se la fortuna li assiste”. In un netto
kafe
non solo si può far uso del computer, ma si può anche scegliere tra
una vasta gamma di cabine, se non addirittura vere e proprie camere
personali, dotate – dalla più economica alla più cara
– di sedia, poltrona, divano e persino un tavolo, per quelle
formato famiglia! Per non parlare poi della Play Station ultimo
modello con giochi annessi, della quantità spropositata di riviste e
manga
messi a disposizione degli ospiti, dei distrubutori automatici di
bevande ad uso illimitato, della doccia gratuita ed, in alcuni,
persino di biliardo, tennis da tavolo e sala karaoke!
Insomma,
se l'avessi saputo prima, altro che taxi, quella robaccia lussuosa
con le ruote l'avrei lasciata ai facoltosi dotati di Black Card! Per
noi che, invece, il nostro piccolo gruzzolo stiamo ben attenti a non
gettarlo alle ortiche, il netto
kafe
può essere una buona soluzione non solo per quando capita di
trovarsi impantanati in quel di Tōkyō a notte fonda, ma anche una
buona occasione di esperire un lifestyle
in puro stile giapponese odierno!
Insomma,
a ripensarci, quella volta perdere il treno non è stato per niente
male: che si vuole di più di incontrare un nihonjino
gentile che ti accompagna a casa mentre ti accultura sul sumō,
di osservare l'anima della Tōkyō dormiente e di conoscere posti
peculiarmente nipponici come i netto
kafe?
Tutto
sommato, perdersi in un luogo per scoprirne quei piccoli dettagli che
da turista canonico capita spesso possano sfuggire credo sia la parte
migliore di ogni viaggio, non credete?
Mata
ne!
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