Cari Nihonjini,
credo che quello che sto per scrivere sarà probabilmente l’articolo meno
stupido e divertente della storia delle mie pubblicazioni, ma avevo
assolutamente bisogno di condividere con qualcuno che ami il Giappone almeno
quanto lo amo io quello che provo per la cultura di questo meraviglioso popolo.
Ieri mi sono
imbattuta casualmente – potremmo anche dire fortunatamente – in un film
d’animazione che mi ha lasciata davvero senza fiato e che mi sento di
consigliare a tutti gli amanti del folklore nipponico, ossia Hotarubi no mori e. Perché questo film
mi è piaciuto così tanto? Bè, perché mi ha riportato alla mente una frase che
una volta una vecchietta giapponese con cui ebbi il piacere di trascorrere una tranquilla
serata davanti ad un buon nabe
bollente, nella piccola città di Fuminosato (prefettura di Ōsaka), mi disse, ossia “i fiori sono belli perché cadono”.
Non è stato
facile comprendere il significato di questa frase. Bisogna possedere una
sensibilità, una bellezza, una profondità d’animo fuori dal comune per arrivare
a capire cosa la vecchietta cercasse di dire con quelle parole, che alla nostra
cultura occidentale sembrano così strane e distanti. Mi ci è voluto un po’ per
rimettere assieme i pezzi e trovare la mia risposta, e non esiste mezzo
migliore di questa pellicola, che è pura poesia, per potervela esplicare al
meglio.
Hotarubi no mori e è la storia di Hotaru, una studentessa del liceo,
che all’età di sei anni, incuriosita dalle leggende su un dio della montagna,
si era smarrita nella foresta dove questi si narrava abitasse, e di Gin, uno
spirito, che quella volta l’aveva trovata e portata in salvo. Tra i due si
consolida presto una tacita promessa: Hotaru tornerà da Gin ogni estate nello
stesso punto in cui la prima volta si sono lasciati, ma si impegnerà a non
toccare mai lo spirito che altrimenti, a causa di un incantesimo, finirebbe col
dissolversi.
Forse, in quanto
amanti del Giappone, sarebbe superfluo farvi notare quanti elementi dell’universo
filosofico shintoista siano presenti in questa trama, a partire dal setting, che già da sé denota uno
sconfinato amore per la natura, entro la quale si nascondono essenze, maligne e
benigne, che coesistono con l’essere umano, creando un equilibrio perfetto tra il
mondo empirico e quello magico dell’ultraterreno. La montagna, simbolo del
passaggio tra la vita e la morte, prova iniziatica per l’ascesa ad un’esistenza
nuova e trascendentale, intricato mandala
che ogni uomo, prima o poi, dovrà sforzarsi di interpretare alla fine della
vita, fa da sfondo all’intera vicenda, nel suo ruolo di osservatrice silenziosa
e di incantata fautrice, madre benevola di tutte quelle forze mistiche e sovrannaturali
che sono gli spiriti della foresta, le sue amate creature. Questi, come la loro
matrice, osservano i vivi da lontano, nel silenzio, senza mai superare la
barriera che li divide dalla vita propriamente detta, abitando un universo
tutto loro, che non è così tanto distante da quello degli esseri umani.
Danzano, festeggiano l’estate, passeggiano tra bancarelle piene di dolci
fatati, maschere, girandole, ridono in compagnia, imitando fin nei minimi
dettagli quella società umana a cui forse un tempo anche loro erano appartenuti.
Tra loro c’è Gin, che non è spirito e non è umano. È qualcosa che sta nel
mezzo, che rappresenta la bellezza dell’esistenza, tanto straordinaria, quanto
effimera, poiché al minimo alito di vento rischia di spezzarsi, di essere
spazzata via per sempre. Gin, come un fiore, rappresenta il mistero ed il
fascino di quel soffio che anima tutte le cose del creato, così potente, eppure
così tanto fragile da rischiare di finire in un istante, per una disattenzione,
per un semplice tocco. Governato da forze immense rispetto all’insignificanza
dell’elemento umano, il suo significato è sfuggente, forse impossibile da
interpretare, almeno fino a che, con la fine della vita, tornando a far parte
di quel tutto che è ciclo dell’eternità, diverremo anche noi parte stessa dei
suoi misteri.
Gin, dunque, come
metafora di tutto ciò che è puro ed evanescente, di tutto ciò che è bello e
destinato a scomparire nel nulla.
Confrontandola
con un contesto simile, la frase di quella vecchietta non appare neanche più
così tanto astrusa, se proviamo a spogliarci per un attimo della nostra visione
pessimistica della fine. Anzi, non vi sembra invece che calzi proprio a
pennello?
Nella nostra
cultura, siamo abituati a pensare che i fiori siano belli solo quando sono in
rigoglio, che la loro caduta sia metafora di morte e marcescenza – basti
pensare alla rosa ne La Bella e la Bestia che, quando sarà appassita, segnerà
la fine di tutto, condannando Belle al tormento di aver perso ciò che ama e non
è riuscita a difendere. Vorremmo vederli esistere per sempre, lottiamo per
tenerli disperatamente in vita, sopraffatti dal terrore che prima o poi
svaniranno nell’oblio, e siamo così tanto impegnati a preoccuparci della fine
da dimenticare di godere del loro splendore quando ancora ne abbiamo
l’occasione, sprecando così il nostro tempo ad illuderci di quanto sarebbe
bello se soltanto potessero brillare in eterno.
Nell’ottica giapponese,
l’ora è adesso, perché non esiste nulla di immutabile, e i momenti lasciati
sono ormai irrecuperabili. Le ferite, le perdite, le lacrime fanno certo paura,
ma rappresentano anche cicatrici da mostrare con orgoglio, da valorizzare, da cospargere
d’oro, come si fa con le crepe delle ciotole incrinate, usurate dal tempo. Ed è
solo perché sappiamo che ciò che attende ogni cosa al termine del percorso è la
fine e che se sprechiamo il tempo a tormentarci, lasciando le occasioni
scorrerci via tra le dita, ciò che resterà saranno solo rimpianti, che possiamo
apprezzare davvero il loro splendore, per tenerlo stipato nei nostri ricordi
fino a quando non arriverà il giorno in cui dovremo dire addio per sempre alle
cose che amiamo, che ci fanno stare bene.
Ecco il motivo
per cui i fiori sono belli perché cadono.
Sono belli perché
rappresentano la magia del presente e la sua brevità, perché racchiudono in sé
il senso stesso dell’esistenza, l’effimerità di quella vita che ci dà e poi ci
toglie, lasciandosi dietro una scia nostalgica di memorie preziose ed un po’
malinconiche, che ci accompagneranno nel viaggio fino a che anche il nostro tempo
su questa terra non sarà terminato...
"Time might separate us, someday. But, even still, until then, let's stay together"
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