La
prima volta che ho impacchettato le mie cose in vista della partenza
per Ōsaka,
sono stata per diverso tempo indecisa su se fare qualche tipo di
assicurazione sanitaria o meno. Dopotutto, si sarebbe trattato di un
periodo di permanenza di soli tre mesi e che cosa vuoi che possa
succedere in tre mesi ad una giovane ventitreenne in ottima salute e
pronta a fare nuove esperienze? E
poi trecento euro e passa di copertura sanitaria non sono mica una
spesuccia facile da affrontare se non hai la fortuna che i big
money ti
crescano sull'albero sotto casa. “Ptf, ne faccio volentieri a meno”
ho liquidato in fretta la problematica, ma, se ci ripenso adesso, mi
rendo conto che non avrei MAI potuto fare una scelta peggiore di
quella! Il fatto è che allora
ero solo una ragazzina ingenua che non aveva ancora la minima idea
del fatto che il pericolo è ad attenderci dietro l'angolo, anche nel
paese più sicuro e rispettoso delle regole del mondo. In
particolare, non ero a conoscenza del fatto che i marciapiedi
in Giappone siano un'insidiosa giungla di pedoni e bicicli.
D'altronde, ogni realtà sulla faccia della terra ha bisogno della
propria eccezione per confermare la regola.
Visto
che ho sempre pensato che per capire davvero un popolo non sia
sufficiente stare fermi ad osservare, ma ci sia bisogno di immergersi
totalmente nella sua cultura, la mia prima settimana di vita
nipponica l'ho trascorsa a cercare, tra le altre cose, una bicicletta
con cui poter scorazzare tra le zone limitrofe al centro città. La
cultura della bicicletta, in Giappone, è centenaria, se ne hanno
testimonianze risalenti alla metà del periodo Edo (l'era dei
samurai,
che va dal 1603 al 1868, per chi non avesse dimestichezza con la
storia giapponese), ed è ancora oggi un mezzo difusissimo per gli
spostamenti a breve distanza (od anche a lunga, se ti chiami Onoda
Sakamichi e sei il protagonista del famoso anime
Yowamushi pedal). Anzi, è talmente presente nella quotidianità
nipponica che è praticamente impossibile pensare ad un giapponese
senza la su fida bici. Basta guardarsi un po' attorno per rendersi
conto che sia il cuore della metropoli, che i centri residenziali
nipponici sono disseminati di veri e propri parcheggi per le
biciclette, a pagamento e non!
Da
brava wannabe nihonjin,
come potevo, dunque, anche solo pensare di ignorare la faccenda?
Dopo
un paio di giorni di ricerca, sono finalmente riuscita a procurarmi
un'orrenda Mami gialla di seconda mano, che ho spesso pensato fosse
stata posseduta in precedenza da qualche sorta di demonio
attira-sfiga, vista l'enorme quantità di incidenti di cui sono stata
vittima in groppa alla sua sella. Il primo di tutti a soli pochi
giorni dal mio arrivo in Giappone, per giunta, quando accingendomi a
svoltare spensieratamente l'angolo della strada dietro casa durante
un giro di prova, sono stata investita dalla mastodontica mountain
bike di una
studentessa in ritardo per le lezioni, che mi ha scaraventata in
cielo per alcuni metri! Primo giro in bicicletta, prima corsa
all'ospedale, insomma: una scena surreale, se provate a figurarvi
pure la vecchietta special
guest che, dal balcone
di casa sua, mi urlava in puro dialetto locale “ti sei fatta male?
Lo vuoi un bicchiere d'acqua?”, mentre la studentessa,
terrorizzata, cercava di squagliarsela di soppiatto. Ecco, quello è
stato il momento in cui ho pensato “mannaggia a me quando ho detto
a Mario che l'assicurazione poteva pure tenersela bella stipata”,
quindi se state pensando di fare un viaggio in Giappone e avete
intenzione di scorazzare tra le strade di Ōsaka
con una Mami gialla posseduta dal demonio, pensateci bene prima di
dire al vostro Mario di fiducia che non avete bisogno di una
copertura sanitaria.
In
realtà, ho ben presto imparato con l'esperienza che il problema non
era (solo) la mia Mami gialla.
Nell'immaginario
collettivo, si è abituati a percepire i giapponesi come un popolo
strettamente osservante delle regole, ed è particolarmente vero per
quel che riguarda il codice stradale ed il traffico pedonale, MA chi
è stato in Giappone anche una sola volta sa bene che quando si parla
di spostamenti in bici la rigidità nipponica si trasforma in
un'anarchia che neanche ai concerti dei Sex Pistols. Il fatto che
esista persino un termine, ossia jitensha
jiko,
per indicare gli incidenti causati dai bicicli è già di per sé
sinonimo di quanto questo fenomeno sia largamente diffuso. Perché
mai questi incidenti avvengano è presto detto: com'è accaduto nel
mio caso, il fatto che molti ciclisti scorazzino in controsenso
rispetto al senso di marcia è, ahimè, uno dei principali fattori
scatenanti, ma visto che questo loro atteggiamento sconsiderato è
spesso dovuto a ragioni di tipo ambientale, voglio provare a spezzare
una lancia in loro favore. I poveri ciclisti giapponesi sono,
infatti, costretti a dividere metà dello spazio che hanno a
disposizione coi pedoni, perché la loro pista non è nient'altro che
il lato esterno del marciapiede (sulle strade più grandi, mentre su
quelle piccole il discorso cambia). Questo va bene fino a che i
passaggi sono a senso unico, ma provate a immaginare il caos che
viene a crearsi nel momento in cui si trovano a transitare
contemporaneamente un pedone e due ciclisti provenienti da due sensi
di marcia contrari! Io amo visionare la scena come una ben poco
felice esplosione di campanelli, cestini e copertoni, che è più o
meno la fine che ha dovuto subire la mia Mami gialla al suo battesimo
inaugurale. E per fortuna che le officine per le riparazioni hanno
prezzi molto accessibili, o avrei seriamente rischiato di compiere il
mio primo atto illecito in terra giappica, arraffando in sostituzione
la mountain bike
della studentessa assassina e fuggendo a gambe levate nella direzione
opposta.
Come
si potrebbe risolvere questo problema? Sinceramente boh, non sono
laureata in scienze della pianificazione urbanistica. Ma se volete
l'inutile parere di un'inesperta, penso sarebbe meglio cominciare dal
separare i pedoni, che già sono sfigati a doversela fare a piedi,
dai bici-muniti, magari attraverso la creazione sul ciglio della
strada di piste ciclabili apposite, almeno nelle aree della città
più ampie ed affollate.
E
voi siete mai stati o vorreste provare l'ebrezza di essere
pedoni/ciclisti investiti, in Giappone? Io, (quasi) messa sotto da
una bicicletta ci ho persino conosciuto il mio ex-ragazzo, quindi,
insomma, non è che tutti i mali vengano proprio per nuocere. Questa,
però, ve la racconto un'altra volta...
P.s: Ecco a voi la mitica Mami gialla, compagna di avventure nipponiche
P.s: Ecco a voi la mitica Mami gialla, compagna di avventure nipponiche
Ma la studentessa? È fuggita?
RispondiEliminaEsatto! Da non crederci, vero? O_O Visto che, volando, mi si era visibilmente sfracellato il mento (ed anche i miei poveri Ray Ban *sigh*), avrà pensato "oh, no! Non voglio andare in prigioneeeee così giovane!!" ed è scappata a tutta birra, tra le mie imprecazioni T_T
EliminaAlla faccia dell'impeccabile altruismo e senso di giustizia nipponici XD
EliminaO magari non era giappa nemmeno lei :O
No, era giappa, era giappa! Ma immagino lo spavento che possa essersi presa pure lei. Il volo mi aveva un po' stordita. Dopo poi mi venne fuori un lividone sulla coscia che ha faticato a sparire per un paio di mesi y.y
Elimina事故 (じこ)
RispondiEliminaAw ありがとうございます!凄く助かりました!@@ 全然気づかなくて
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