domenica 31 luglio 2016

Jitensha jiko: l'(anti)arte giapponese di andare in bici

La prima volta che ho impacchettato le mie cose in vista della partenza per Ōsaka, sono stata per diverso tempo indecisa su se fare qualche tipo di assicurazione sanitaria o meno. Dopotutto, si sarebbe trattato di un periodo di permanenza di soli tre mesi e che cosa vuoi che possa succedere in tre mesi ad una giovane ventitreenne in ottima salute e pronta a fare nuove esperienze? E poi trecento euro e passa di copertura sanitaria non sono mica una spesuccia facile da affrontare se non hai la fortuna che i big money ti crescano sull'albero sotto casa. “Ptf, ne faccio volentieri a meno” ho liquidato in fretta la problematica, ma, se ci ripenso adesso, mi rendo conto che non avrei MAI potuto fare una scelta peggiore di quella! Il fatto è che allora ero solo una ragazzina ingenua che non aveva ancora la minima idea del fatto che il pericolo è ad attenderci dietro l'angolo, anche nel paese più sicuro e rispettoso delle regole del mondo. In particolare, non ero a conoscenza del fatto che i marciapiedi in Giappone siano un'insidiosa giungla di pedoni e bicicli. D'altronde, ogni realtà sulla faccia della terra ha bisogno della propria eccezione per confermare la regola.
Visto che ho sempre pensato che per capire davvero un popolo non sia sufficiente stare fermi ad osservare, ma ci sia bisogno di immergersi totalmente nella sua cultura, la mia prima settimana di vita nipponica l'ho trascorsa a cercare, tra le altre cose, una bicicletta con cui poter scorazzare tra le zone limitrofe al centro città. La cultura della bicicletta, in Giappone, è centenaria, se ne hanno testimonianze risalenti alla metà del periodo Edo (l'era dei samurai, che va dal 1603 al 1868, per chi non avesse dimestichezza con la storia giapponese), ed è ancora oggi un mezzo difusissimo per gli spostamenti a breve distanza (od anche a lunga, se ti chiami Onoda Sakamichi e sei il protagonista del famoso anime Yowamushi pedal). Anzi, è talmente presente nella quotidianità nipponica che è praticamente impossibile pensare ad un giapponese senza la su fida bici. Basta guardarsi un po' attorno per rendersi conto che sia il cuore della metropoli, che i centri residenziali nipponici sono disseminati di veri e propri parcheggi per le biciclette, a pagamento e non! 
Da brava wannabe nihonjin, come potevo, dunque, anche solo pensare di ignorare la faccenda?
Dopo un paio di giorni di ricerca, sono finalmente riuscita a procurarmi un'orrenda Mami gialla di seconda mano, che ho spesso pensato fosse stata posseduta in precedenza da qualche sorta di demonio attira-sfiga, vista l'enorme quantità di incidenti di cui sono stata vittima in groppa alla sua sella. Il primo di tutti a soli pochi giorni dal mio arrivo in Giappone, per giunta, quando accingendomi a svoltare spensieratamente l'angolo della strada dietro casa durante un giro di prova, sono stata investita dalla mastodontica mountain bike di una studentessa in ritardo per le lezioni, che mi ha scaraventata in cielo per alcuni metri! Primo giro in bicicletta, prima corsa all'ospedale, insomma: una scena surreale, se provate a figurarvi pure la vecchietta special guest che, dal balcone di casa sua, mi urlava in puro dialetto locale “ti sei fatta male? Lo vuoi un bicchiere d'acqua?”, mentre la studentessa, terrorizzata, cercava di squagliarsela di soppiatto. Ecco, quello è stato il momento in cui ho pensato “mannaggia a me quando ho detto a Mario che l'assicurazione poteva pure tenersela bella stipata”, quindi se state pensando di fare un viaggio in Giappone e avete intenzione di scorazzare tra le strade di Ōsaka con una Mami gialla posseduta dal demonio, pensateci bene prima di dire al vostro Mario di fiducia che non avete bisogno di una copertura sanitaria.
In realtà, ho ben presto imparato con l'esperienza che il problema non era (solo) la mia Mami gialla.
Nell'immaginario collettivo, si è abituati a percepire i giapponesi come un popolo strettamente osservante delle regole, ed è particolarmente vero per quel che riguarda il codice stradale ed il traffico pedonale, MA chi è stato in Giappone anche una sola volta sa bene che quando si parla di spostamenti in bici la rigidità nipponica si trasforma in un'anarchia che neanche ai concerti dei Sex Pistols. Il fatto che esista persino un termine, ossia jitensha jiko, per indicare gli incidenti causati dai bicicli è già di per sé sinonimo di quanto questo fenomeno sia largamente diffuso. Perché mai questi incidenti avvengano è presto detto: com'è accaduto nel mio caso, il fatto che molti ciclisti scorazzino in controsenso rispetto al senso di marcia è, ahimè, uno dei principali fattori scatenanti, ma visto che questo loro atteggiamento sconsiderato è spesso dovuto a ragioni di tipo ambientale, voglio provare a spezzare una lancia in loro favore. I poveri ciclisti giapponesi sono, infatti, costretti a dividere metà dello spazio che hanno a disposizione coi pedoni, perché la loro pista non è nient'altro che il lato esterno del marciapiede (sulle strade più grandi, mentre su quelle piccole il discorso cambia). Questo va bene fino a che i passaggi sono a senso unico, ma provate a immaginare il caos che viene a crearsi nel momento in cui si trovano a transitare contemporaneamente un pedone e due ciclisti provenienti da due sensi di marcia contrari! Io amo visionare la scena come una ben poco felice esplosione di campanelli, cestini e copertoni, che è più o meno la fine che ha dovuto subire la mia Mami gialla al suo battesimo inaugurale. E per fortuna che le officine per le riparazioni hanno prezzi molto accessibili, o avrei seriamente rischiato di compiere il mio primo atto illecito in terra giappica, arraffando in sostituzione la mountain bike della studentessa assassina e fuggendo a gambe levate nella direzione opposta.
Come si potrebbe risolvere questo problema? Sinceramente boh, non sono laureata in scienze della pianificazione urbanistica. Ma se volete l'inutile parere di un'inesperta, penso sarebbe meglio cominciare dal separare i pedoni, che già sono sfigati a doversela fare a piedi, dai bici-muniti, magari attraverso la creazione sul ciglio della strada di piste ciclabili apposite, almeno nelle aree della città più ampie ed affollate.

E voi siete mai stati o vorreste provare l'ebrezza di essere pedoni/ciclisti investiti, in Giappone? Io, (quasi) messa sotto da una bicicletta ci ho persino conosciuto il mio ex-ragazzo, quindi, insomma, non è che tutti i mali vengano proprio per nuocere. Questa, però, ve la racconto un'altra volta...

P.s: Ecco a voi la mitica Mami gialla, compagna di avventure nipponiche


6 commenti:

  1. Risposte
    1. Esatto! Da non crederci, vero? O_O Visto che, volando, mi si era visibilmente sfracellato il mento (ed anche i miei poveri Ray Ban *sigh*), avrà pensato "oh, no! Non voglio andare in prigioneeeee così giovane!!" ed è scappata a tutta birra, tra le mie imprecazioni T_T

      Elimina
    2. Alla faccia dell'impeccabile altruismo e senso di giustizia nipponici XD
      O magari non era giappa nemmeno lei :O

      Elimina
    3. No, era giappa, era giappa! Ma immagino lo spavento che possa essersi presa pure lei. Il volo mi aveva un po' stordita. Dopo poi mi venne fuori un lividone sulla coscia che ha faticato a sparire per un paio di mesi y.y

      Elimina
  2. Risposte
    1. Aw ありがとうございます!凄く助かりました!@@ 全然気づかなくて

      Elimina